“Finché puoi parlare, non ti espelleranno dalla storia; finché puoi ascoltare, non ti esilieranno dal passato.”
Le parole poetiche di Alaa Abd El Fataah, prigioniero politico egiziano, esprimono bene l’importanza di far sentire le voci dietro le sbarre, sia per noi fuori che le ascoltiamo che per coloro che stanno dentro. Ci sembra giusto citare le sue parole anche per rappresentare i tantissimi cittadini egiziani che si trovano in carcere in Italia, accusati o condannati insieme a tanti altri di un reato che per noi è altrettanto politico: favorire la libertà di movimento.
La guerra in ucraina e la crisi energetica hanno travolto l’anno, sottolineando l’ineludibilità di movimento, di fuga, e di lotta. Circa 150.000 persone hanno affrontato i rischi del Mediterraneo per cercare di costruire un futuro su altre sponde, tentando di superare un sistema razzista e coloniale fatto di blocchi e barriere. Di questi, almeno 2.000 non ce l’hanno fatta. Gli arresti, i processi e le condanne dei capitani fanno parte di questa fortezza europea, che si serve della legge penale quale metodo di esclusione e di sanguinosa repressione. Il progetto che portiamo avanti sin dalla pubblicazione del report Dal Mare al Carcere nell’ottobre 2021 si focalizza sullo sviluppo di reti solidali e di strumenti volti a contrastare questo processo di criminalizzazione.
Come abbiamo scritto nel report, nella stragrande maggioranza di questi processi, le persone sotto accusa hanno poco o nulla a che fare con organizzazioni e gruppi violenti che le persone migranti spesso si trovano ad affrontare durante il viaggio. Più spesso, sono loro ad essere esposti a questi metodi e sfruttati. È importante notare che queste organizzazioni si evolvono per reagire e colmare il vuoto creato dalle politiche di chiusura dell’Europa, e sono il prodotto di politiche tutt’ora attuate in primis dal governo italiano.
Il contesto politico italiano, che quest’anno ha visto costanti cambiamenti – ma anche, purtroppo, alcune continuità – costituisce la matrice di questa lotta. L’insediamento di un governo che include elementi post-Fascisti nella maggioranza ha prevedibilmente comportato un ulteriore accanimento contro le persone che attraversano la frontiera del Mediterraneo, e, ovviamente, contro coloro che le aiutano ad arrivare vive in Italia – i capitani delle imbarcazioni di migranti e le ONG che operano il soccorso in mare. Rimane tristemente nota l’affermazione della premier Meloni che, difronte alla crisi con la Francia scaturita dal tentativo dell’Italia di bloccare l’ingresso e lo sbarco delle navi ONG che avevano prestato soccorso a centinaia di persone, sostiene: “meglio isolare gli scafisti, non l’Italia”. Affermazioni odiose, che alimentano la demonizzazione di chi non fa altro che condurre oltre la frontiera imbarcazioni di persone in fuga , cercando di imporre nuovamente la figura dello scafista al centro della conversazione, come capro espiatorio universale a cui si possa addossare la responsabilità della morte e della violenza che avviene alla frontiera marittima italiana.
D’altronde, nonostante questi elementi retorici, che si possono collocare come elemento costituente della guerra simbolica tutt’ora in corso anche contro le ONG in mare, gli arresti e le prassi attuate dalle autorità statali e dalla magistratura nei confronti dei capitani sembrano rimanere pressoché invariate, come mostreremo nei prossimi paragrafi. La sistematicità degli arresti che abbiamo descritto anche nel 2021, rimane una costante e altrettanto costante è il disinteresse, mostrato dai governi nazionali che si susseguono, a mettere in discussione la violenza e la disumanità dell’articolo 12 del Testo Unico Immigrazione (favoreggiamento dell’immigrazione irregolare) e tanto meno a affrontare l’arbitrarietà e l’accanimento con cui migliaia di persone sono state detenute e condannate per questo reato.
Quante persone sono state fermate nel 2022? Chi sono?
Il nostro monitoraggio sistematico della cronaca rivela le dimensioni e le caratteristiche del fenomeno di criminalizzazione dei cosiddetti scafisti, facendo emergere alcune specificità che riflettono i cambiamenti sia nelle rotte migratorie attualmente più percorse sia nelle modalità con cui lo Stato italiano cerca di criminalizzare e chiudere le porte dell’Europa a queste persone.
Nel 2022, abbiamo contato il fermo di 264 persone in seguito agli sbarchi. Questa cifra non è scientifica, ma si basa su quanto riportato dai giornalisti, sopratutto nella stampa locale. Usando lo stesso metodo, l’anno scorso abbiamo contato 171 fermi, a fronte dei 225 fermi rivendicati dalla Polizia di Stato nel loro report annuale uscito ad aprile. Se abbiamo mantenuto lo stesso livello di precisione, possiamo stimare che il numero di fermi complessivamente nel 2022 è di 350 persone circa.
Visto che 85.000 persone sono arrivate attraverso le rotte marittime nel 2022 (secondo i dati del ministero), il numero di fermi rappresenta una persona ogni 300 persone arrivate, una proporzione simile al 2021, e complessivamente anche simile al periodo 2014-2017. Molto diverse rispetto a questo periodo, però, sono le nazionalità delle persone fermate. Negli anni successivi all’apertura della rotta libica, tantissime persone provenienti dall’Africa occidentale sono state arrestate, circa un quarto di tutti i fermi. Negli ultimi due anni, abbiamo contato meno di 10 fermi che coinvolgono cittadini di questi paesi.
Questo calo nel numero di fermi di persone provenienti dall’Africa occidentale è dovuto a cambiamenti registrati sia nelle nazionalità prevalenti delle persone che scelgono di migrare , che nelle dinamiche delle rotte utilizzate. Illustrativo di questi cambiamenti è l’aumento del numero di persone provenienti dal Nord Africa e dall’Asia centrale fermate come capitani. Infatti, la polizia ha fermato il doppio delle persone nord-africane rispetto all’anno precedente: abbiamo contato 118 fermi nel 2022, a fronte dei e 61 nel 2021. Nell’ultimo biennio, come negli anni precedenti, la maggior parte di questi fermi coinvolgono cittadini egiziani. E infatti, il numero di egiziani che hanno deciso di affrontare i rischi del Mediterraneo quest’anno è più che raddoppiato rispetto all’anno scorso (18.285 rispetto a 8.576 , secondo i dati del Ministero).
Un altro cambiamento significativo fra il 2021 e il 2022 è stato il calo nel numero di persone ucraine fermate dalla polizia. Nel 2021 abbiamo contato 32 fermi di ucraini in seguito agli sbarchi; nel 2022, solamente 9. Gli skipper ucraini storicamente sono stati fondamentali per l’arrivo delle persone che partono dalla Turchia, in quanto marinai esperti che sanno condurre una barca a vela durante la settimana di viaggio che occorre per attraversare l’Egeo e giungere fino alle coste italiane. Con lo scoppio della guerra, agli uomini è stato impedito di uscire dal Paese, indubbiamente un fattore determinante per la diminuita disponibilità degli skipper. L’importanza della rotta, d’altro canto, si è solamente intensificata. Di conseguenza abbiamo assistito al raddoppiarsi dei fermi di cittadini turchi (24 nel 2021, 52 nel 2022), e russi (7 nel 2021, 14 nel 2022) ma anche a molti più fermi di persone dal continente asiatico in generale: dai siriani ai bengalesi, passando da paesi senza sbocco sul mare, come il Kazakistan e il Tagikistan.
I capitani – e le capitane – che seguiamo
Seguiamo nel dettaglio le situazioni di 84 persone criminalizzate, 54 delle quali sono in carcere. Quasi metà di loro provengono dal Nord Africa, e un terzo dall’Africa Occidentale. Gli altri da paesi asiatici, dall’Africa Orientale o dall’Europa dell’Est. Tra le persone che seguiamo ci sono due donne detenute, una proveniente dalla Russia e l’altra dall’Ucraina.
Siamo riuscitə a metterci in contatto con queste persone grazie ad una rete che si sta allargando. Tante persone non detenute le abbiamo conosciute tramite lo Sportello Sans-Papiers, mentre le lettere che scambiamo con i detenuti rappresentano non solo un modo importante per aggiornarci a vicenda sullo sviluppo della situazione legale e giudiziaria, ma anche – e forse soprattutto – un momento di incontro e un’opportunità di espressione. I messaggi che ci arrivano sono di tutti i tipi, variano da racconti di vita quotidiana in carcere alla condivisione di momenti e ricordi. A volte sono messaggi tragici, in cui ogni parola ti fa sentire l’ingiustizia di una vita costretta dietro le sbarre, altre volte sono scherzosi e addirittura comici e riescono quasi a farti dimenticare la barriera fisica che ti separa dalla persona che li scrive. Per esempio, più di un giovane ragazzo ci ha scritto lettere strazianti sulla separazione dalla fidanzata dopo la condanna, raccontandoci le grandi difficoltà che queste giovani ragazze hanno dovuto affrontare nei loro paesi, sospese in attesa di un uomo imprigionato. Ma ci hanno condiviso anche gli scherzi e i disegni, e sempre calorosi saluti a tutte le persone che continuano a lottare al loro fianco per la loro libertà.
Abbiamo assistito a vari processi in tribunale nell’ultimo periodo, a Palermo, Agrigento e Messina. Essere presenti in aula ci ha permesso non solo di aiutare i legali a comunicare ai loro assistiti un percorso giuridico spesso complesso, ma anche di costruire insieme le strategie legali più adatte alle diverse situazioni. In più, il tribunale stesso a volte è diventato un luogo in cui intercettare ulteriori casi che altrimenti non sarebbero stati conosciuti da nessuno. Similmente, ci scontriamo con i Centri di Permanenza e Rimpatri (CPR), i non-luoghi di detenzione amministrativa dove, purtroppo, molti capitani si trovano a vivere un periodo di trattenimento successivo alla detenzione in carcere per il solo fatto di non avere documenti -oppure perché considerati, automaticamente, in quanto ex detenuti, socialmente pericolosi. Nel 2022 abbiamo seguito un capitano del Biafra, richiedente asilo, rimpatriato in Nigeria prima di poter essere ascoltato dal giudice e abbiamo notizia di molti capitani tunisini a cui è toccata la stessa sorte. Purtroppo a volte neanche una sentenza di assoluzione evita il Cpr: è quello che è successo ad un cittadino libico, scagionato da ogni accusa, che dopo anni di integrazione in Italia si è visto arbitrariamente trattenuto in CPR perché ritenuto socialmente pericoloso per lo stesso reato per cui era stato assolto. Uno stigma che si traduce in una vera e propria persecuzione.
Fare uscire la voce delle persone sotto processo e detenute è fondamentale per sfidare la narrazione attualmente dominante che mira a demonizzare le persone accusate di essere scafisti. Per questo motivo negli ultimi mesi ci siamo messə a disposizione di giornalisti che hanno pubblicato s articoli di cronaca e inchieste importanti a tal riguardo. Il lavoro del gruppo Lost in Europe ha contributo all’approfondimento della questione dei minori stranieri accusati di essere scafisti, pubblicato, fra altre testate, su L’Essenziale e ANSA. Il Post International invece ha pubblicato un esaustivo articolo che riporta il caso di due cittadini turchi condannati a 12 anni di carcere in primo grado; siamo ora in contatto sia con gli imputati che i difensori. Lorenzo D’Agostino ha scritto per il Domani del caso di Helmi El Loumi , un ragazzo tunisino condannato per l’orrendo naufragio di novembre 2019, condannato ad otto anni di reclusione e con il quale manteniamo una corrispondenza epistolare. In più, la situazione in Italia è stata paragonata a quella in Grecia e Regno Unito da diversi giornalisti: per il New Humanitarian in inglese, e per La Liberation in francese. Si possono leggere tutti questi articoli e altri ancora nel nostro sito.
Costruire una rete di supporto in tutta Italia
Lo sviluppo e il collegamento di reti sul territorio italiano che possano collaborare su questioni legate alla criminalizzazione della migrazione è un elemento fondamentale per questo lavoro. Infatti, gli arresti e le detenzioni che intercettiamo e la ricerca in supporto alle indagini difensive degli avvocati interessano regioni in tutta Italia. Nel 2022 abbiamo preso parte in numerosi eventi di varia natura in diversi luoghi d’Italia, per conoscere le persone impegnate in molti temi affini, da reti antirazziste a ONG umanitarie, da reti di avvocati a tante realtà che lavorano sul carcere.
Abbiamo aperto conversazioni su questo tema e presentato il nostro lavoro alla sede del Cobas Catania insieme alla Rete Antirazzista Catanese, alla libreria Colapesce di Messina con il circolo Arci Thomas Sankara, e al Ghorba Fest a Pozzallo. In tutti questi casi abbiamo avuto l’opportunità di presentarci nel contesto di eventi dedicati e in conversazione con numerosi individui, gruppi, associazioni e comunità delle città. In parallelo, abbiamo collaborato con i Consigli dell’Ordine degli Avvocati sia a Palermo che ad Agrigento organizzando due formazioni giuridiche riservate agli avvocati, per far conoscere meglio le problematiche dell’art. 12 all’avvocatura. La formazione di Palermo è disponibile online grazie a Radio Radicale.
Siamo altrettanto felici di aver partecipato alla conferenza ‘I Confini della Solidarietà’ organizzata dalla Clinica Legale di Roma 3, ASGI e Mediterranea sempre nell’ottica di scambiare esperienze e di fare rete per rispondere alla criminalizzazione della migrazione. È stato importantissimo per noi essere invitatə alla conferenza organizzata nuovamente da ASGI e l’Università di Bari, (Im)mobilità e confini lungo le rotte adriatiche, che si proponeva di approfondire le caratteristiche e le criticità delle rotte migratorie del mare Adriatico e Ionico. Abbiamo quindi potuto conoscere e stabilire collaborazioni con elementi molto attivi della rete pugliese, che ci ha permesso anche di comprendere più da vicino quello che avviene nei diversi porti di sbarco nel resto d’Italia, oltre che in Sicilia. Questo bagaglio di conoscenze si è poi rivelato molto utile anche quando le navi ONG hanno dovuto sbarcare in porti diversi e sempre più lontani dal Mediterraneo Centrale, come Bari, Taranto e Salerno.
La collaborazione con reti nazionali già molto sviluppate e affermate si è rivelata un elemento fondamentale per il nostro lavoro. La prima che vorremmo menzionare è la rete nazionale Arci, della quale fa parte il circolo Porco Rosso a Palermo, e i suoi comitati territoriali che sono in grado di offrire punti di riferimento in tutta Italia. Ci siamo confrontatə con il gruppo operativo a Roma per sviluppare il tema della criminalizzazione nel campo di applicazione delle attività di supporto socio-legale del Numero Verde, e siamo statə nuovamente presenti al festival diffuso delle culture mediterranee Sabir a Matera, per partecipare alla conversazione con altri gruppi e attori impegnati sugli stessi temi.
Abbiamo viaggiato per conoscere le persone che combattono per i diritti dei detenuti in generale, per fargli conoscere meglio la situazione dei ‘capitani’ e scambiare buone pratiche. Un esempio è la bellissima iniziativa La Prigione e la Piazza, una serie di eventi culturali e dibattiti su vari aspetti del carcere e della società, legata ad un mercatino di libri itinerante in diverse città d’Italia, tappe che hanno incluso Napoli e Palermo, dove abbiamo avuto modo di conoscere anche altri gruppi che hanno organizzato l’iniziativa, come i/le militanti di Napoli Monitor e del Comitato Via Cipressi; siamo stati presenti anche all’Assemblea Nazionale Carcere tenuta all’Ex Central di Bologna. Inoltre, abbiamo aperto una collaborazione con l’associazione nazionale di Antigone, la cui sezione regionale già collabora con noi dall’anno scorso, e con l’ufficio del Difensore Civico, che ha sostenuto il nostro lavoro di supporto alle persone detenute con cui siamo in contatto epistolare. E abbiamo avuto l’opportunità di conoscere meglio CRIVOP, una rete nazionale di volontariato carcerario, attiva dentro a molte carceri per fornire supporto e ascolto ai detenuti. È stato un valore aggiunto per noi conoscere tantə dellə volontariə alla loro assemblea nazionale a Palermo.
Il nostro lavoro collega il mare al carcere, il mondo della migrazione a quello della detenzione, due mondi solo idealmente separati. Costruire reti in entrambi i settori durante l’anno ci ha permesso di vederne le connessioni e le potenzialità di una lotta comune. Per esempio, pensiamo sia importante allargare le attenzioni e le esperienze di molte associazioni attive nel mondo carcere ai CPR in quanto ritenuti da molti trattenuti luoghi ancora peggiori delle carceri stesse. Per rivendicare la chiusura di questi luoghi di segregazione, a giugno abbiamo partecipato a Torino alla manifestazione contro i CPR, organizzata da diverse associazioni torinesi. Abbiamo, inoltre, insieme ad altre realtà siciliane monitorato e protestato per la situazione del CPR di Caltanissetta dove negli ultimi mesi molte persone hanno messo in atto gesti disperati per riavere la loro libertà.
Ultimo, ma non per importanza, siamo fierə di aver rinnovato la nostra collaborazione con il fondo Sea Watch Legal Aid, e di aver ricevuto un finanziamento dal fondo Safe Passages, la generosità delle quali ci permette di continuare la nostra ricerca e militanza.
‘Dal mare al carcere’
un progetto di Arci Porco Rosso, Borderline Sicilia e borderline-europe
10 gennaio 2023