Spazi meticci: come fare decolonialità e transfemminismo?

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Negli scorsi mesi allǝ compagnǝ dello Sportello Sans-Papiers è giunta una proposta inaspettata: un invito a partecipare all’elaborazione di pratiche decoloniali e transfemministe da utilizzare in contesti attraversati da persone con presente e/o background migratorio, il tutto mediato da metodi e prospettive che appartengono al mondo dell’artivismo (arte+attivismo). 

Il progetto coinvolge altre due associazioni partner con sede in Francia: Camera Lucida e Otra Tierra, entrambe animate da sguardi che hanno vissuto e vivono le proprie storie di movimento da paesi del Sudamerica come Colombia, Ecuador, Venezuela e Brasile. 

Tre di noi, attive tra Porco Rosso e Sportello, si sono incontrate con le altre persone del gruppo coinvolte nella fase iniziale del percorso in diverse riunioni su piattaforme virtuali. A maggio poi, ci siamo finalmente ritrovate insieme in presenza nella cittadina di Viens, tra le Alpi Provenziali – il loro inizio o la loro fine? 

Tra sveglie presto, grandi energie e fiori di sambuco, la breve residenza ha sollevato moltissime domande, e qui una che ne somma tante altre: che cosa significano decolonialità e transfemminismo in contesti di contatto tra persone di vari background tra cui alcune annoverano quello della migrazione personale e/o familiare? Durante le giornate di lavoro, ci è stato sempre più chiaro che quelle due parole difficili significano per noi molte cose tanto complesse tra cui certamente contiamo queste:

*una tensione quotidiana a cercare, per quanto possibile, di non agire dinamiche di potere, e ancor prima essere ben consapevoli di quanto le relazioni storiche e geopolitiche del mondo di ieri e di oggi, (post)coloniali ed estrattiviste, si possano nascondere persino in una domanda dal suono innocuo (“di dove sei veramente?”) o in un gioco che solo per alcunǝ di noi è divertente;

*dislocarci e sperimentare (sempre con cura!) con le lingue, le melodie, i modi, i gesti, i luoghi che non sentiamo “nostri” – condividere con le persone che incontriamo ciò che per loro è casa e per noi è ignoto e curiosità;

*entrare con cura e delicatezza negli spazi, fisici e non, che attraversiamo, tendendo un orecchio alle sensibilità, emozionalità, consenso, nostre e di chi abbiamo intorno. 

E dopo cinque giorni, l’ultima e grande domanda: è davvero possibile portare tutto ciò in un’attività laboratoriale, ludica, artistica? 

Tra i mille sbuffare e «Non so, però…», ci abbiamo provato e chissà…

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