Progetto ‘Dal mare al carcere’, 3° Report trimestrale 2024
1. Contesto — 2. Revisione rigettata dei ‘calciatori libici’ — 3. Maysoon Majidi libera! — 4. Processi art 12bis — 5. I processi paralleli di Cutro — 6. Rete.
“Mi sento meglio ma ci vuole tempo, non devo dimenticare. Io non mi sono sentita sola ma ci sono tantissime persone detenute. Vivono in celle chiuse, bisogna aiutarli, tutti. Chi è fuori deve aiutare chi è recluso ad avere giustizia. Il mio sogno è che tutti siano liberi.”
—Maysoon Majidi.
1. Contesto
Gli sviluppi degli ultimi mesi sono complessi, e le loro implicazioni devono ancora finire di dispiegarsi. Si direbbe, guardando le tendenze degli ultimi anni, che il carcere in Italia abbia gradualmente abbandonato qualsiasi pretesa di rieducazione e risocializzazione in favore di una maggiore contenitività e afflittività. Allo stesso tempo, il controllo delle frontiere e le strategie di criminalizzazione delle persone in movimento e di chi facilita il loro viaggio diventano sempre più stringenti. Dall’instaurazione del governo Meloni, le strategie di contenimento e criminalizzazione in Italia si sono moltiplicate, dall’apertura di nuovi centri di trattenimento per i richiedenti asilo in Sicilia alla nascita del nuovo centro in Albania, fino ad arrivare ai nuovi strumenti repressivi introdotti con il DDL 1660 – approvato alla Camera e attualmente al vaglio del Senato – che prevedono pene esemplari per le proteste nei centri di detenzione amministrativa (CPR) e nelle carceri.
Al contempo, l’Italia dedica un notevole impegno a livello di diplomazia internazionale per stringere nuovi accordi, con stati UE e non, nel tentativo di dettare la linea alla commissione europea di Von Der Leyen. Dal Regno Unito alla Germania, dalla Francia alla Finlandia, l’Italia è diventata un modello per la “gestione delle migrazioni” per governi di colori diversi. Il modello di cui l’Italia si fa promotrice e massima esperta è quello delle operazioni antimafia. Come è evidente anche nell’anti-smuggling plan varato durante il G7 a inizio ottobre in Italia, l’idea sempre più egemonica è quella di applicare le tecniche di indagine e criminalizzazione messe a punto dalle procure antimafia e inquadrare nelle “reti di trafficanti” l’ultima frontiera della criminalità organizzata. Questo approccio propone di “seguire i soldi” e di intercettare le comunicazioni sospette che potrebbero essere parte dell’organizzazione di un passaggio in Europa. È in questo contesto che anche la criminalizzazione di capitani e passeur si diffonde e si riversa sulle frontiere interne all’area Schengen, come avviene su entrambe le sponde della Manica, con il motto “smash the gangs”, e in Germania, che nell’ultimo anno ha chiuso le frontiere e avviato procedimenti penali contro quasi 2000 persone per smuggling dall’inizio anno.
Allo stesso tempo, nel contesto del cosiddetto Piano Mattei, l’Italia investe in relazioni bilaterali che cristallizzano il doppio legame tra finanziamenti allo sviluppo e controllo delle migrazioni, per esempio tramite il ‘Business Forum Italia-Libia’.
É in questo contesto che assistiamo alla chiusura di 728 siti web usati per la promozione di viaggi in Libia ed Egitto e all’escalation di strategie di repressione delle persone in movimento in Tunisia, in cui il rieletto Kais Saied ha varato una proposta di legge per aumentare la pena per chi facilita l’attraversamento delle frontiere, anche senza scopo di lucro. La Tunisia, dopo l’instaurazione della zona SAR a giugno del 2024, ha moltiplicato le intercettazioni in mare – e gli arresti – e continuato ad eseguire deportazioni di massa di persone nere ai confini terrestri con la Libia e l’Algeria. A questa stretta si aggiunge il raid di maggio contro associazioni e ONG tunisine che si occupano di sostegno alle persone migranti, cui sono seguiti arresti con l’accusa di “associazione per delinquere con lo scopo di favorire l’ingresso di persone in Tunisia”. Raid avvenuti, come notato da alcune fonti giornalistiche, solo giorni dopo una serie di incontri bilaterali tra vertici del governo italiano e tunisino, tracciando un nesso con il memorandum di intesa del 2023 tra UE e Tunisia (di cui l’Italia era promotrice) in cui si è concordato il versamento di 105 milioni di euro per frenare la migrazione irregolare. Similmente, nell’ultimo anno l’Egitto ha effettuato raid, arresti e deportazioni di massa di profughi Sudanesi in fuga dalla guerra, contestualmente al memorandum d’intesa più oneroso di sempre firmato con l’UE nel marzo 2024 anche per la gestione delle migrazioni.
Questi sviluppi sono fondamentali per comprendere la diminuzione degli sbarchi in Italia, e contestualmente, la diminuzione degli arresti condotti localmente con l’accusa di favoreggiamento. Ad agosto il ministro Piantedosi ha annunciato che la polizia italiana ha fermato 40 “scafisti” e 78 “trafficanti”. Come abbiamo detto altre volte, le categorie usate dalla polizia per raccontare la criminalizzazione sono imprecise e confusionarie; il termine ‘trafficanti’ potrebbe, infatti, facilmente includere atti di solidarietà al confine, che anch’esse rientrano nell’applicazione dell’articolo 12 del TUI. Ciò detto, il numero di 40 persone migranti fermate in seguito agli sbarchi corrisponde a grandi linee con il nostro monitoraggio dei fermi riportati dalla cronaca locale.
Eppure le persone continuano ad attraversare frontiere. Il moltiplicarsi del numero e della gravità dei conflitti che dilagano in tutto il mondo – dal genocidio di Gaza e il bombardamento a tappeto in Libano ad opera di Israele, alla guerra civile in Sudan che sta generando centinaia di migliaia di profughi, senza dimenticare le costanti dinamiche di estrazione neo-coloniale che opprimono i paesi soprattutto africani – evidenziano l’assurdità dell’aspettativa che le persone possano smettere di dover o voler migrare. Le operazioni repressive dell’Italia e degli altri Stati in risposta a questi spostamenti non sono altro che espressione di una degenerazione autoritaria a livello globale, che speriamo un giorno di poter raccontare alle generazioni future come aberrazioni combattute e vinte.
Da questo spazio di lotta vorremmo condividere con voi gli aggiornamenti su alcuni casi che stiamo seguendo e su cui è importante tenere i riflettori accesi.
2. La Cassazione boccia la richiesta di revisione per il processo per la strage di Ferragosto
Mercoledì 16 ottobre si è tenuta l’udienza in Cassazione per uno dei cosiddetti calciatori libici, arrestato insieme ad altri 7 dopo il loro arrivo in Italia, con l’accusa di essere “scafisti”, con condanne a 20 e 30 anni. Il ricorso è stato presentato contro la decisione della Corte di Appello di Messina che aveva dichiarato inammissibile la richiesta di revisione presentata dalla difesa, che aveva offerto nuove prove scagionanti per i giovani. È quindi con rabbia e dolore che abbiamo appreso che la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso. Nonostante sia ormai acclarato che il processo avvenuto contro gli otto è stato sommario, il sistema giudiziario italiano ha finora rifiutato di riconoscerlo e di offrir loro le garanzie previste dall’ordinamento italiano. Esprimiamo solidarietà ai detenuti e alle loro famiglie, che continuano a lottare per la loro libertà. Continueremo ad essere al fianco degli otto, per cui prosegue il calvario giudiziario, e che hanno già dovuto passare un terzo della loro vita in carcere.
3. Maysoon Majidi libera!
La scarcerazione di Maysoon Majidi, attivista curdo-iraniana detenuta dall’inizio di quest’anno, è stato motivo di grande gioia, per noi e per tutta la rete che negli ultimi mesi si è stretta intorno alla vicenda di questa giovane artista femminista e del suo travagliato viaggio. Plaudiamo Maysoon per la sua forza, per la lotta che ha condotto da dentro e il lavoro della sua difesa. Attendiamo l’udienza finale, del 27 novembre, sperando che possa confermare già quanto anticipato dall’ordine di scarcerazione. Lunedì 28 ottobre, invece, Maysoon Majidi è andata, per mostrare solidarietà, all’udienza di Marjan Jamali, un’altra donna iraniana arrestata con l’accusa di art. 12 di cui abbiamo parlato negli ultimi report. Non ci limitiamo a chiedere l’assoluzione immediata di Marjan e Maysoon, ma anche dei loro coimputati Babai Amir e Ufuk Akturk, meno conosciuti, dietro le sbarre per un reato che abbiamo sempre considerato politico. Libertà per tuttx!
4. Processi per articolo 12 bis
A settembre sono state depositate le motivazioni dell’importante sentenza del Tribunale di Reggio Calabria in materia di articolo 12 bis, il reato introdotto dal cosiddetto decreto ‘Cutro’, che prevede pene vertiginose per chi favorisce l’ingresso irregolare di migranti quando si verifica, come conseguenza non voluta, la morte, o la lesione, di una o più persone trasportate. Il Tribunale ha affermato che, anche nel caso in cui si accerti che una persona si è posta alla guida dell’imbarcazione, o ha comunque favorito l’ingresso di migranti, il naufragio non può essergli attribuito in automatico. E’ necessario infatti che il capitano abbia previsto la possibilità del naufragio e che lo stesso potesse essere da lui o lei evitato, richiedendo pertanto un accertamento difficilmente dimostrabile se si tiene conto delle condizioni in cui una persona si pone alla guida dell’imbarcazione. Ci auguriamo, pertanto, che questa sentenza rappresenti un primo passo per chiarire, anche a livello giurisprudenziale, che i responsabili delle morti in mare non sono i capitani.
Ad oggi seguiamo altri due processi per art. 12 bis.
Il primo caso in assoluto in cui è stato contestato questo reato è ancora pendente al Tribunale di Crotone, e vede imputate cinque persone egiziane e due siriane. Sin dall’inizio, abbiamo monitorato questo procedimento grazie alla collaborazione di alcuni legali della difesa. A dicembre dovrebbe concludersi il primo grado. Speriamo che il Tribunale creda alla testimonianza resa in aula dal capitano che ha spiegato chiaramente di aver condotto l’imbarcazione in condizioni di necessità, sottraendo decine di persone alle persecuzioni delle milizie libiche.
Stiamo seguendo da vicino il caso di un naufragio dove hanno perso la vita per asfissia dieci persone e oggi vede imputati due egiziani, un maggiorenne ad Agrigento e un minore al Tribunale per i Minorenni di Palermo. Anche in questo caso l’accusa è per art 12 bis. Al Tribunale di Agrigento i testimoni dell’accusa sono stati sentiti mesi fa, mentre per il minorenne, il 23 ottobre si è svolto – su richiesta della difesa – l’incidente probatorio. Dalle narrazioni dei migranti è emerso come l’imbarcazione stesse navigando in una situazione di estremo pericolo e, proprio a causa del sovraffollamento della stessa – situazione non attribuibile al giovane egiziano – per i migranti in stiva fosse impossibile salire.
5. I processi paralleli di Cutro
Sono trascorsi 20 mesi dal naufragio di Cutro, in cui 105 persone sono state uccise dalle politiche italiane e europee, tra esse il capitano della barca — la Summer Love – Bayram Gulen. Dei sopravvissuti, 5 si trovano attualmente in carcere, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Alla condanna di Gun Ufuk a 20 anni di reclusione e 3 milioni di euro di multa – per cui ci sarà udienza in Corte di Appello il 20 novembre – si è aggiunta quella di Abdessalem Mohammed, avvenuta a inizio luglio. Anche lui ha scelto il rito abbreviato e anche lui ha ricevuto la stessa pena, che si aggiunge a 4 anni di reclusione per un procedimento connesso ad uno sbarco in Puglia nel 2021.
Il primo grado del rito ordinario, invece, continua contro Arslan Khalid e Hasab Hussain, due giovanissimi ragazzi pakistani, e Sami Fuat, di nazionalità curda. A settembre, il fratello di Khalid è stato sentito come testimone, e ha dichiarato che il padre in Pakistan aveva pagato gli organizzatori del viaggio ed esibito in aula i messaggi telefonici in cui Khalid chiedeva di saldare il pagamento una volta che l’imbarcazione era in vista della costa. Inoltre, è stato confermato, dai testimoni della procura e della difesa, che Khalid fosse tornato in acqua dalla riva per soccorrere delle persone in pericolo.
Un altro contributo importante è stato quello di Gun Ufuk, sentito non più come imputato, ma come testimone. Ufuk da un lato ha affermato, in linea con la tesi difensiva, che Khalid e Hassan erano passeggeri che hanno pagato come gli altri; dall’altro ha negato qualsiasi coinvolgimento di Sami, sostenendo che la Summer Love fosse gestita esclusivamente da Abdessalem e Bayram.
L’imputato Sami Fuat, invece, si è avvalso della facoltà di non rispondere durante l’esame, limitandosi a rivendicare la sua nazionalità curda, e a intonare un canto curdo in aula. A causa del peggioramento del suo stato di salute mentale – fatto già riscontrato dall’inizio del processo – la sua avvocata ha chiesto al tribunale una perizia psichiatrica, richiesta rifiutata dal Tribunale. La prossima udienza si terrà il 6 novembre, quando l’accusa presenterà la richiesta di condanna.
Nel frattempo, si sono concluse le indagini sulla responsabilità delle autorità per la morte di oltre 100 persone, identificando 6 soggetti coinvolti fra la Guardia di Finanza e la Capitaneria di porto. Dai messaggi scambiati fra gli ufficiali dei due corpi dello Stato, si evince che tutti sapevano già prima del naufragio che il caicco ospitava a bordo tante persone migranti, e che il rimbalzare la palla della ‘competenza’ per il salvataggio ha solo rallentato il necessario soccorso. Ci chiediamo come sia possibile che due persone siano già state condannate ad una vita in carcere ancora prima che le dinamiche che hanno portato al naufragio siano state verificate, quando Frontex, la Guardia costiera e la polizia ancora dovrebbero rispondere pubblicamente delle loro azioni.
6. Rete
Insieme alla Clinica Legale Roma 3, abbiamo organizzato un panel al festival Sabir dell’Arci, “il caso Kinsa: un’occassione di smantellare la criminalizzazione della migrazione”.
E’ stata un’occasione importante per discutere e aggiornarsi, insieme ad altre realtà della nostra rete, su un caso arrivato nel 2022 alla Corte Costituzionale e oggi alla Grande Camera della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiamata a valutare la compatibilità della normativa italiana ed europea che criminalizza la libertà di movimento con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Questo incontro si inserisce in una più ampia campagna volta a diffondere gli scenari e le opportunità che questo procedimento e un’eventuale pronuncia favorevole potrebbe portare in Italia e in Europa, rappresentando un primo passo per lo smantellamento della criminalizzazione in Italia.
A Palermo, invece, abbiamo organizzato un incontro insieme all’Elsc e Voci nel Silenzio, sulla criminalizzazione dell3 palestines3 e del movimento pro-palestina in Italia, nell’ambito del quale abbiamo presentato il caso dei tre cittadini di Gaza arrestati a Catania a maggio dell’anno scorso. Come abbiamo raccontato in passato, seguiamo da vicino il loro processo, e speriamo che, alla prossima udienza novembre 22, vedranno finalmente la loro piena libertà.
In copertina si vede un disegno di loro dall’ultima udienza.
‘Dal mare al carcere’
Dal mare al carcere è un progetto militante da Arci Porco Rosso e borderline-europe che, dal 2021, monitora l’andamento della criminalizzazione dei cosiddetti scafisti in italia, e offre supporto socio-legale alle persone criminalizzate. Ringraziamo i fondi Guerilla, FGHR, Sea Watch e Safe Passage che hanno deciso di sostenere questa causa e la nostra militanza.