New York come Lampedusa.

Il mare è un inganno. Immersi nella mitologia marina della nostra isola, sembra spesso che le migrazioni via mare sia un esodo biblico dal deserto che inesorabilmente raggiunge le coste siciliane. Ma in realtà, gli spostamenti delle persone oltre i confini imposti dagli Stati-nazione, così come i tentativi e le pratiche per bloccarli, sono il risultato di desideri e volontà molto umane. 

La questione mi è diventata più chiara parlando con M. sull’isola di Randalls, nel fiume di Harlem, a New York. Randalls, simile alla famosa Ellis Island, fa parte dell’arcipelago metropolitano intorno a Manhattan, solitamente un tranquillo parco di qualche chilometro quadrato. Ma ad agosto, hanno aperto un centro di accoglienza sull’isola, capace di ospitare 3.000 persone. M. è uno dei molti residenti temporanei di questo centro newyorchese, un signore senegalese di una quarantina di anni, appena arrivato. Basso, simpatico, calmo, contento di scambiare due chiacchiere. Abbiamo parlato fuori dal recinto, tra le bancarelle di scarpe, Nescafé e piccole griglie allestite dai venditori di diverse nazionalità davanti al centro. Abbiamo parlato in italiano.

M. è venuto inizialmente in Italia anni fa, intraprendendo il viaggio nel Sahara e dalla Libia, stabilendosi in una grande città con un lavoro in fabbrica e un permesso di soggiorno regolare. Dopo ben sette anni ha capito che non avrebbe mai soddisfatto i requisiti per portare la sua famiglia dal Senegal in Italia. Con l’arrivo di Meloni, come lui stesso dice, ha deciso che l’Italia non poteva essere il paese del suo futuro. È tornato a casa, felice di passare tempo con la sua famiglia, finché le spese sono diventate troppe e il suonodel grande viaggio lo ha richiamato di nuovo.

E come è arrivato a New York? Come molte persone dal Senegal, Mauritania e altri Stati dell’Africa occidentale negli ultimi anni, ha preso un visto per il Nicaragua, da dove si è unito alle migliaia di persone del Sud America dirette al confine messicano, passando per il Texas. Gli stati repubblicani nel sud degli USA sono determinati a respingere chi arriva e all’inizio dell’anno scorso hanno cominciato a dirigere le persone verso gli stati democratici. Solo lo stato del Texas ha allontanato più di 50.000 persone in questo modo, mentre la città di New York ne ha accolti oltre 100.000. 

La città di New York è diventata una sorta di nuova Sicilia nell’ultimo anno, con centri di accoglienza straordinaria (spesso corrotti e non funzionali), dormitori comunali pieni di richiedenti asilo, senza mediazione culturale o assistenza legale. E accanto a tutto ciò, ci sono collettivi, associazioni e ONG che cercano sia di dare una mano sia di denunciare le mancanze delle autorità. Collettivi come Bamsa (Black and African Migrant Solidarity Alliance), Afrikana e Buskwick City Farms – persone di diverse formazioni, nazionalità e orientamenti politici che si sono organizzati per affrontare una crisi tanto urgente quanto artificiale. Incontri rari che aprono le porte a nuove alleanze e prospettive, delle quali speriamo di poter  far parte anche da questo lato dell’oceano.

M. mi ha dato il suo numero WhatsApp, “351…”.  Un prefisso italiano… Tutto troppo familiare e c’è troppo significato dentro questa cifra di un “nuovo arrivato” dall’Africa che parla perfettamente italiano, come le migliaia di italiani e italiane che attraccavano a New York un secolo fa. Forse la lezione è che non esistono “nuovi arrivati”, ma solo “terre inesplorate” – anche per chi ci si è nato – da scoprire e trasformare insieme.

 

RB.

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