Fra guerra e Oscar. I capitani oggi.

Progetto ‘Dal mare al carcere’, Terzo report trimestrale 2023.

“Chi ama la pace deve imparare ad organizzarsi con la stessa efficacia di chi ama la guerra.” – MLK.

Nel suo discorso all’assemblea generale dell’ONU, riunitasi a New York il mese scorso, la presidente Meloni ha annunciato “una guerra globale senza pietà contro i trafficanti di esseri umani.” Le sue parole rappresentano un nuovo picco nella propaganda d’odio contro coloro che facilitano l’attraversamento delle frontiere. Infatti, il governo italiano, in reazione all’aumento di persone che arrivano via mare dalla Tunisia, ha deciso di riarmare la sua crociata contro la ‘criminalità’. È significativo quindi che, allo stesso tempo, centinaia di migliaia di persone siano andate al cinema a vedere il film Io Capitano, la storia di un giovane uomo senegalese che intraprende il viaggio mortale verso la Libia per poi guidare eroicamente un vecchio peschereccio fino in Italia, portando centinaia di altre persone migranti al sicuro. La figura dello scafista non è mai stata così controversa nel dibattito pubblico come negli ultimi mesi, in cui è diventato allo stesso tempo il nemico da distruggere in una guerra di portata mondiale, e l’eroe di cui ammirare il coraggio e la resilienza sul grande schermo, candidato agli Oscar.

La “guerra” in corso

La crisi delle frontiere ha dato il via a un nuovo ciclo di vertici, un nuovo ciclo di politiche internazionali di criminalizzazione. Gli accordi costantemente e puntualmente rinnovati fra poteri europei e governi libici hanno tentato di fermare le persone in partenza dalla Libia, anche tramite un aumento delle deportazioni dalla Libia stessa verso i Paesi d’origine. Ma le persone trovano un modo di muoversi sempre. E quindi come risultato della stretta sulla rotta libica, le persone sono andate in Tunisia per tentare di entrare nella fortezza Europa. E di conseguenza, l’Europa ha spostato il suo sguardo verso la Tunisia di Saïed. Le coordinate sono diverse, ma lo schema è sempre lo stesso: armi, approvvigionamento di risorse energetiche, e controllo delle frontiere. Tuttavia, nonostante l’UE e l’FMI premono per stipulare accordi con la Tunisia, questi tentativi finora sono saltati.

Nel frattempo, il Governo, per assicurarsi un supporto a livello internazionale alle sue politiche impregnate di razzismo ideologico , ha rispolverato la vecchia retorica della lotta ai trafficanti e alla Mafia, ponendosi in dialogo sia con Sunak che con el-Sisi [1]. In questo notiamo uno slittamento semantico, in cui le autorità ora parlano più volentieri di ‘trafficanti’, piuttosto che di ‘scafisti’ – una scelta di termini che tenta di dare uno stampo più autorevole, meno giornalistico, e forse anche meno controverso, alle politiche di criminalizzazione che lo Stato continua a mettere in atto nei confronti delle persone in movimento. 

Questo tipo di scelta linguistica è stato particolarmente visibile durante la conferenza internazionale avvenuta a Palermo per celebrare i vent’anni dalla ratifica della Convenzione di Palermo del 2000, che include il protocollo contro il traffico di esseri umani, un passo fondamentale nell’apparato legislativo che criminalizza l’attraversamento delle frontiere. E nel portare Ursula von der Leyden a Lampedusa, la Meloni è riuscita a fare della Commissione una sua portavoce, improvvisando un piano sulla lotta ai trafficanti quale risposta al sovraffollamento e alle violazioni dei diritti umani avvenute sull’isola in queste ultime settimane – fenomeno che non ha nulla a che fare con i cosiddetti scafisti e che ha tutto a che fare con la mala gestione italiana dell’accoglienza. 

L’esito più concreto della conferenza palermitana di fine settembre è stato la stipulazione di un accordo con la Libia (costruito sulla base di uno simile stretto qualche mese fa con il Marocco) per il rimpatrio di detenuti libici in Italia, in linea con una proposta dell’estrema destra per il il c.d. “Piano Mattei per l’Africa”, che vorrebbe svuotare le carceri italiane dai detenuti stranieri. Secondo la cronaca libica questo accordo include il rimpatrio dei “calciatori libici”, fermati in seguito al naufragio di ferragosto 2015 e ingiustamente condannati a 20 e 30 anni di reclusione.

Quali saranno le conseguenze di queste manovre politiche sulle vite delle persone direttamente interessate? Ci viene difficile credere che l’obiettivo primario di questi accordi, per l’Italia, sia quello di alleggerire o di rendere più vivibile la pena attraverso l’avvicinamento ai familiari, ma ci auguriamo sinceramente che questo possa essere un effetto collaterale. In ogni caso, anche se questo sviluppo si rivelasse positivo per le persone interessate, non basterebbe a risarcire il danno causato da anni di ingiusta detenzione.

Tutto questo sta accadendo a dieci anni dal naufragio del 3 ottobre 2013, un momento che ha segnato un nuovo capitolo per l’Italia, fra cui un’accelerazione nella criminalizzazione. Oggi qualcosa è cambiato? Forse sì. A Lampedusa, i fermi sistematici dei conducenti delle imbarcazioni non sembrano essere al momento una priorità della magistratura e delle forze dell’ordine (come abbiamo constatato nell’ultimo nostro report). Al loro posto, tuttavia, a causa dell’aumento del numero degli arrivi, sembra abbiano avuto più fortuna le azioni poliziesche di confinamento di massa, la sistematica, disumanizzante gestione delle persone in arrivo come fossero merci, e i tentativi istituzionali di rendere sempre più potente la macchina della detenzione amministrativa e delle deportazioni. Questo è stato possibile anche a causa del fatto che la maggior parte delle persone che arrivano a Lampedusa e in Sicilia, provengono dai cosiddetti Paesi Sicuri e sono facilmente soggetti alle nuove forme di detenzione amministrativa.

In Calabria, d’altra parte, le persone che arrivano partono da paesi ancora categorizzati dallo Stato come “insicuri”, come l’Afghanistan, l’Iraq e la Siria. Dunque, poiché è ancora difficile legittimare per loro la detenzione di massa in assenza di reato di persone, rimangono visibili le stesse dinamiche di criminalizzazione sistematica, di fermi e di incarcerazione che sono state anche oggetto di spettacolo dopo il naufragio di Cutro.

Dalla parte dei capitani

Mentre il mondo della politica pare determinato a portare avanti una guerra disumanizzante contro i capitani, e contro le persone in movimento in generale, sono in moltə che lottano per una narrativa diversa.

C’è chi scende in piazza denunciando le politiche di morte e segregazione messe in atto, e chi porta sul grande schermo la storia di chi ha guidato se stesso e altri viaggiatori in salvo attraverso la frontiera del Mediterraneo. Il film Io Capitano cerca di rappresentare la violenza generata dalle tante frontiere che ostacolano le persone in movimento. Una scena che colpisce molto del film è il fermo immagine di Seydou, ragazzo senegalese di appena 16 anni, trionfante e felice perché ce l’ha fatta, ha guidato la barca senza avere esperienza del mare e senza aver ricevuto alcun aiuto, e, grazie al suo sangue freddo e alla fortuna, nessuno è morto. 

Sappiamo che nella realtà la storia di Fofana Amara, il ragazzo senegalese che ha ispirato il film, non finisce in quel momento di gloria, ma prosegue in carcere. I suoi 16 anni, infatti, non lo salvano dal processo di criminalizzazione portato avanti in modo seriale dallo Stato italiano, per il semplice fatto che nessuno si è interessato di verificare se fosse o meno minorenne. Solo dopo 2 mesi trascorsi nel carcere per adulti viene riconosciuta la sua minore età ed entra nel circuito della giustizia penale minorile.

Non abbiamo potuto fare a meno di notare le affinità con la storia di H., un giovane senegalese che conosciamo da diversi anni. H. è arrivato in Italia nel 2016 da minore ed è stato subito arrestato con l’accusa di essere scafista e, come Fofana, portato in un carcere per adulti. A differenza di Fofana però, nonostante si fosse sempre dichiarato minore, non gli hanno mai creduto. Ha subito una condanna in primo grado dal Tribunale di Trapani, poi annullata in appello per effettuare accertamenti sull’età che si sono conclusi nel 2022 con una declaratoria definitiva del Tribunale dei Minorenni di Palermo che, sulla base di accertamenti del tutto discutibili, ha deciso che H. nel 2016 era adulto. Quest’anno il procedimento penale contro H. è quindi ripreso di nuovo dinanzi al Tribunale di Trapani. 

Il monitoraggio di processi come quello di H. è al centro del nostro lavoro di supporto agli individui criminalizzati e di denuncia di pratiche e prassi scorrette e dannose poste in essere anche nel corso dei procedimenti penali. A Crotone la settimana scorsa c’è stata la prima udienza del processo contro tre delle persone accusate di essere responsabili per la strage di Cutro a febbraio, mentre a settembre è iniziato il processo contro i tre palestinesi di Gaza, da mesi in sciopero della fame perché ingiustamente arrestati per aver facilitato l’ingresso di 70 persone, nonostante loro stessi fossero venuti in Italia per chiedere asilo. Siamo stati in contatto con i loro parenti a Gaza sempre più impossibilitati a star loro accanto anche a causa dei recenti bombardamenti dell’esercito israeliano.

La lotta continua

Ci dà speranza il fatto che, attraverso una rete sempre più consapevole e diffusa, le distanze tra noi e le persone detenute continuano a diminuire. Il contatto fra detenutə e ‘terze persone’ (come noi) non è garantito ma è sottoposto alla completa discrezionalità dei giudici e dei direttori delle carceri, con la conseguenza che moltə detenutə stranierə, privə famiglia o congiuntə in Italia, sono costrettə a un isolamento ancora più estremo. Per questo motivo è importante che siamo riuscitə a ottenere le prime autorizzazioni per chiamate e videochiamate e anche colloqui in carcere, come è successo con ‘Lamin’, cittadino gambiano fermato a novembre 2021 e condannato in primo grado a 10 anni di detenzione.

Abbiamo anche riscontrato una piccola ma significativa vittoria per quanto riguarda le misure alternative al carcere. Bilal, un capitano tunisino con cui siamo in contatto da due anni, adesso si trova in affidamento in prova ai servizi sociali. Questo rappresenta un importante caso di superamento del cosiddetto regime ostativo alle misure alternative al carcere (art. 4 bis o.p.) di regola applicato anche alle persone condannate per  reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, di cui abbiamo già da tempo denunciato la crudele inutilità.

Abbiamo visitato una struttura a Palermo, Un Nuovo Giorno, che ha recentemente accolto agli arresti domiciliari anche un capitano tunisino, nonostante questa sia una pratica che viene raramente messa in atto a causa dell’incertezza della durata della pena, e connessi problemi di finanziamento. In questa comunità, abbiamo conosciuto anche D., di nazionalità palestinese, sempre condannato per essere il capitano di una imbarcazione e separato dalla sua giovane famiglia, con cui ha affrontato il viaggio in Italia e che ora vive all’estero lontano da lui. 

Tanti sono i modi in cui la società civile e militante resiste questa “guerra” contro i capitani, che vanno dall’ottenimento delle libertà descritte sopra, fino alla resistenza in piazza. Prendiamo energia dalle molte iniziative a cui abbiamo partecipato in questo periodo, quali l’incontro della rete Captain Support e della campagna dell’equipaggio della Iuventa a inizio settembre. Inoltre, insieme a un centinaio di altre realtà locali, siamo scesə in piazza per esprimere il nostro dissenso verso la già menzionata conferenza a Palermo a fine settembre, alzando la nostra voce per un’antimafia sociale e un Mediterraneo libero.

‘Dal mare al carcere’
un progetto di Arci Porco Rosso e borderline-europe
20 ottobre 2023.


Ringraziamo Sea Watch Legal Aid, Iuventa e la fondazione Safe Passage per il loro sostegno fondamentale negli ultimi mesi.



[1] La parola “trafficante” descrive due fenomeni diversi tra loro: quella del traffico di persone, che in inglese è smuggling, ovvero il favoreggiamento dell’attraversamento della frontiera, che avviene su richiesta dei migranti, e quella della tratta, che in inglese è trafficking, in cui le persone vengono trasportate oltre frontiera con coercizione o inganno per essere sfruttate all’arrivo.

Foto di Seydou Sarr, Matteo Garrone e Moustapha Fall all’80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

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